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Caffè Al Bicerin dal 1763 a Torino
La Storia, dal 1763
La storia inizia nel 1763, quando l’acquacedratario Giuseppe Dentis apre la sua piccola bottega nell’edificio di fronte all’ingresso del Santuario della Consolata. Il locale all’epoca era arredato semplicemente, con tavole e panche di legno. Nel 1856, su progetto dell’architetto Carlo Promis, viene edificato l’attuale palazzo e in questa sede il caffè assume l’elegante forma che oggi possiamo apprezzare: le pareti vengono abbellite con boiseries di legno decorate da specchi e lampade e fanno la loro comparsa i caratteristici tavolini tondi di marmo bianco, il bancone di legno e marmo e le scaffalature per i vasi dei confetti. Alla fine dell’Ottocento viene posta esternamente la devanture in ferro, con le vetrinette ai lati, le colonnine e i capitelli in ghisa. In questo ambiente viene svolta l’attività di confetteria e di caffè-cioccolateria che prosegue fino ad oggi.
L’invenzione del bicerin è stata, senza alcun dubbio, la base del successo del locale e, più che invenzione, fu evoluzione della settecentesca bavareisa, una bevanda allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri e che era fatta di caffè, cioccolato, latte e sciroppo. Il rituale del bicerin prevedeva all’inizio che i tre ingredienti fossero serviti separatamente, ma già nell’Ottocento vengono riuniti in un unico bicchiere e declinati in tre varianti: pur e fiur (simile all’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato), ‘n poc ‘d tut (ovvero “un po’ di tutto”), con tutti e tre gli ingredienti. Quest’ultima formula fu quella di maggiore successo e finì per prevalere sulle altre, arrivando integra ed originale ai nostri giorni e prendendo il nome dai piccoli bicchieri senza manico in cui veniva servita (bicerin, appunto). La bevanda si diffuse anche negli altri locali della città, diventandone addirittura uno dei simboli di Torino. Stefani-Mondo scrive: “…è la bibita prediletta della mattina: ministri, magistrati, professori, negozianti, fattorini, cestaie, venditori e venditrici ambulanti, campagnuoli ecc, tutti spendono volentieri i loro tre soldi per rifocillarsi economicamente lo stomaco“. Il prezzo di tre soldi, cioè 15 centesimi di lira, venne mantenuto dalla metà dell’Ottocento fino al 5 dicembre del 1913, quando passò a 20. “…per venti soli centesimi si aveva il classico bicchierino che costituisce un nutritivo spuntino…“.
La storia del Bicerin, come questo locale venne nel tempo a essere semplicemente chiamato dai torinesi per il successo della sua bevanda, nel tempo si intreccia saldamente a quella della “Consolà”. La nuova miscela era infatti il sostegno ideale per i fedeli che, avendo digiunato per prepararsi alla comunione, cercavano un sostegno energetico appena usciti dalla chiesa. Ugualmente era molto gradita in tempo di Quaresima poiché, non essendo la cioccolata calda considerata “cibo” ma “bevanda”, poteva essere consumata senza remore durante il digiuno prescritto.
Il Museo Torino (museo virtuale della Città di Torino) presenta una scheda molto dettagliata e con ricerca storica sul Caffè Al Bicerin.
Il Risorgimento e l’Unità d’Italia passano da questo locale con la presenza di Camillo Benso di Cavour. Si dice che il Conte, liberale, laico e anticlericale, anziché accompagnare la famiglia reale al santuario, ne attendesse l’uscita comodamente seduto al tavolino sotto l’orologio, controllando da dietro le tendine l’ingresso della Consolata.
Una gestione al femminile
Un tempo, i caffè erano esclusivo dominio maschile: gli uomini ci si ritrovavano per bere, fumare e parlare. Le donne “rispettabili” non potevano frequentare luoghi così poco adatti a loro. Anche in questo il Bicerin si dimostrò ben presto un locale unico: era stato aperto da un uomo, ma la gestione presto passò in mano a delle signore. La particolare posizione di fronte al Santuario della Consolata lo faceva meta preferita da un pubblico femminile che in tale ambiente si sentiva protetto e a suo agio, le specialità servite erano tipiche di una cioccolateria-confetteria e come alcolici venivano serviti solo vermuth, rosolio e ratafià. Per molti anni è stato uno dei pochi luoghi dove le donne potevano mostrarsi sole in pubblico; qui inzuppavano nel bicerin i biscottini, per rompere il digiuno dopo le funzioni nel santuario di fronte. Il fatto che fosse un locale a conduzione femminile lo rendeva decoroso e consono per essere frequentato dalle dame. Questa caratteristica diede al locale un’impronta di garbo e delicatezza che ancora oggi si è mantenuta, e che si desidera preservare. Dal 1917 al 1971 il locale è stato gestito dalla signora Ida Cavalli (conosciuta come la cicolatera d’piazza d’la Consolà) con l’aiuto della sorella e successivamente della figlia Olga, poi dal 1972 al 1977 venne gestito dalla signora Silvia Cavallera. Le signore Cavalli sono state molto amate e conosciute da tutta la città: più padrone di casa che ostesse, amorevolmente accudivano tutti gli intellettuali squattrinati che nel Caffè Al Bicerin cercavano riparo dai rigori del freddo.
Maritè
Nel 1983 Maritè Costa ha raccolto l’eredità delle signore Cavalli, portando il locale al livello di notorietà internazionali a cui è oggi conosciuto. Il suo è stato uno straordinario lavoro di vera archeologia del bicerin, del cioccolato e dei dolci torinesi: la sua ricerca e studio delle ricette originali, dei materiali di qualità e un vero ed autentico amore per la cioccolata e la pasticceria tradizionale piemontese, hanno fatto sì che questo piccolo caffè venisse conosciuto ed amato nel mondo intero. Presto vennero i molti riconoscimenti, uno per tutti è della prestigiosa rivista Gambero Rosso, che nella prima edizione della Guida ai Bar, nomina nel 2001 il Caffè Al Bicerin “Migliore Bar d’Italia“. All’attenzione e alla grande cura per la qualità e alla tradizione del cibo, Maritè ha affiancato la passione per la conservazione dell’ambiente storico, vera icona della città, avviando un’importante opera di restauro delle strutture e degli arredi originali. Tutto questo per preservare l’atmosfera e l’accoglienza delle cioccolaterie ottocentesche torinesi. Il suo modello di ospitalità e accoglienza hanno fatto sì che diventasse una vera istituzione della città che, come riconoscimento per il lavoro fatto in trenta anni di attività, le ha conferito il Premio Bogianen 2013.
Mancata nel 2015, la gestione prosegue, orgogliosamente nel solco della tradizione, sempre con la nostra famiglia e con la collaborazione delle signore che da anni lavorano al caffè.
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